L’isteria si è modellata all’interno di un particolare periodo storico, dal quale sembra dipendere. Cambiando la società è scomparsa anche l’isteria?
Nel DSM-II (APA, 1968) viene data all’isteria una visione unitaria sotto l’etichetta di “personalità isterica”, così descritta: Eccitabilità, instabilità emotiva, iperattività e drammatizzazione; quest’ultima è sempre volta a richiamare l’attenzione ed è spesso seduttiva, che il paziente ne sia consapevole o meno. Questi pazienti sono anche immaturi, incentrati su di sé, spesso vanitosi, e di solito dipendenti dagli altri. Questo disturbo deve essere differenziato dalla nevrosi isterica (caratterizzata dai sintomi di conversione o dissociazione).
La sua vita all’interno del manuale diagnostico è breve, in quanto già con la terza edizione del DSM (1980) l’isteria scompare per fare spazio al termine “istrionico”.
Passando poi per il DSM-IV fino all’odierno DSM-V, l’isteria è stata redistribuita in diverse categorie diagnostiche: il disturbo dissociativo, il disturbo somatoforme, il disturbo di conversione, il disturbo istrionico di personalità. Per non parlare poi del fatto che molti sintomi un tempo considerati isterici possiamo ritrovarli nelle disfunzioni sessuali, nei disturbi dell’alimentazione e in quelli ansiosi e fobici.
Una descrizione ed una divisione questa che non sempre convince. Secondo alcuni autori, infatti (Lingiardi, 2004), aver separato i disturbi dissociativi da quelli di conversione significa aver frammentato in modo inappropriato i sintomi psichici da quelli fisici, considerandoli come quadri diagnostici a sé stanti.
Ma quali sono le motivazione alla base di questa scelta?
Già la radice etimologica del termine inventato da Ippocrate ( dal greco hysteron, ovvero “utero”) ha causato all’isteria non pochi problemi. Dire “isterica” significava infatti dire “donna” e soprattutto donna incapace e inadeguata, inferiore; risultava quindi essere un’etichetta troppo discriminante e misogina per non essere sostituita dal più politicamente corretto termine “istrionico”, riferibile invece ad entrambi i sessi.
Troppo legata inoltre l’isteria ad una concezione psicoanalitica ed al suo quadro teorico di riferimento (con i concetti di inconscio, rimozione e transfert).
Ma ciò che probabilmente più di ogni altra cosa non ha soddisfatto la moderna psichiatria è stata l’estrema varietà della sintomatologia isterica, troppo generica e con modalità di espressione così variegate da risultare impossibile fornirle un’ adeguata cornice concettuale, né tantomeno ridurla a quell’elenco di items tanto cari alla moderna modalità diagnostica di tipo nosografico.
Inoltre, l’isteria si è modellata all’interno di un particolare periodo storico, dal quale sembra dipendere. I soggetti isterici descritti da Freud erano donne della classe borghese dell’ottocento, appartenenti a famiglie colte, ma condizionate da concezioni rigide, moraliste ed ipercontrollanti, soprattutto per quello che riguardava i costumi sessuali ed il rapporto con il corpo. Una società in cui gli istinti e le pulsioni sessuali e aggressive venivano tenute a bada da istanze morali indiscutibili.
Quindi superati e scomparsi certi atteggiamenti scomparsa anche l’isteria? Il cambiamento radicale della società ha fatto sì che le manifestazioni isteriche non avessero più ragione di esistere? Diversi autori si sono espressi al riguardo.
Secondo Sergio La Rosa (2014) in realtà la modalità isterica si trova “diluita nel mare della cultura post-moderna”, la quale in qualche modo incoraggia la manipolazione ed alcuni usi e costumi nella misura in cui questi permettono di raggiungere determinati obiettivi ed il successo. I vantaggi di tali modalità fanno sì che l’isteria non venga considerata una patologia nella società contemporanea.
Semi (1995) imputa l’eclissi dell’isteria dalla psichiatria moderna alla “resistenza attuale alla psicoanalisi” ma sottolinea “come proprio questa eclissi faccia parte delle caratteristiche fondamentali dell’isteria, grande simulatrice”.
Un camaleonte quindi, che si modella e si modifica all’interno di un determinato contesto e periodo storico, la quale, nonostante da molti venga rimossa, continua a ritornare, “indossando maschere diverse dietro le quali, però, ritroviamo sempre la stessa malattia” (Mattioli, Scalzone, 2002). Una patologia che inganna il clinico e l’osservatore, in quanto l’isterico per sua natura prende la forma che interessa all’oggetto di cui vuole catturare l’attenzione (Bogousslavsky,2015).
Il cambiamento sociale e culturale ha però quantomeno portato modificazioni nelle manifestazioni isteriche. Ciò che frequentemente si osserva sono: la tendenza alla drammatizzazione, la suggestionabilità, l’egocentrismo, la tendenza ad erotizzare i rapporti, il ricercare l’attenzione per mezzo del corpo, la tendenza alla dissociazione, l’uso eccessivo di fantasie, la labilità affettiva, la tendenza alla somatizzazione, lo stile cognitivo impressionistico e poco orientato ai dettagli.
Le nuove forme di isteria vengono considerate non tanto e non solo come conflitto tra le tre istanze Es, Io e Super Io, ma come manifestazioni di una falla nel Sé, dove l’altro è chiamato a riempire questa mancanza tramite una funzione di rispecchiamento. Brenman (1985) vede l’isteria come una difesa contro la psicosi, dove il ricorso alla fantasia e all’identificazione proiettiva servono a negare la realtà psichica e dove la relazione con l’oggetto esterno è funzionale a tenere insieme il soggetto e ad evitare cadute depressive e psicotiche.
Rintracciamo quindi i sintomi dell’isteria in tutte la patologie del “vuoto” (molto dell’isteria è finito nel calderone del disturbo borderline).
Accanto a chi vorrebbe dire spariti quantomeno gli spettacolari sintomi di conversione e le grandi crisi isteriche, c’è chi nelle corsie degli ospedali e nei pronto soccorsi assiste pazienti (anche in età evolutiva) che manifestano sintomi di conversione importanti come paralisi, svenimenti, deficit sensoriali. Perché? Come è possibile dato che il contesto di riferimento è così cambiato?
Forse il contesto è cambiato, ma i conflitti e le pressioni continuano ad essere vive e presenti. I ritmi di vita sono incalzanti e le frustrazioni massicce, la malattie del controllo dilagano in risposta ad una società che richiede di essere belli, curati ma non narcisisti, performanti e competitivi nel lavoro. Il rapporto con il proprio corpo e con la propria sessualità si è solo adattato al nuovo contesto, dove i disturbi alimentari aumentano e dove, soprattutto alle donne, si richiede di essere sì sessualmente libere, ma comunque “rispettabili”.
L’inibizione, fulcro delle problematiche nell’epoca freudiana, lascia spazio ora a questioni identitarie e di regolazione delle emozioni e del rapporto con gli altri, ma ora come allora i pazienti non riescono ad esprimere con parole vissuti psichici conflittuali ed è quindi il corpo a parlare, e a volte a “bloccarsi”, come nel caso degli svenimenti (in un curioso parallelismo con i sintomi descritti da Breur su Anna O., donna molto colta che parlava diverse lingue quando stava bene, ma che spesso balbettava).
Ponendo come centrale il tema dell’identità e dell’espressione della propria soggettività, non deve stupire che un gran numero di pazienti con tale sintomatologia siano adolescenti, i quali si ritrovano a costruire la propria identità e ad attraversare il difficile passaggio dalla sessualità infantile a quella adulta in un a società in cui la comunicazione passa perlopiù attraverso strumenti tecnologici che depersonalizzano e creano un distacco ed una mancanza di ascolto da parte dei pari e degli altri gruppi di riferimento.
A ridare dignità diagnostica all’isteria è stato anche il Manuale Diagnostico Psicodinamico ( PDM Task Force, 2006), il quale ha re-inserito i disturbi isterici di personalità all’interno dell’asse P (Pattern e disturbi di personalità). Il PDM vede i disturbi isterici ed istrionici legati da un continuum e colloca i pazienti isterici ad un livello nevrotico, mentre quelli istrionici ad un livello borderline di gravità.
L’isteria sembra quindi ancora fin troppo presente e reale nell’epoca moderna per poter smettere di parlarne. L’auspicio è che il dibattito inerente l’isteria e la sua concettualizzazione non si fermi solo al mondo psicoanalitico, ma possa coinvolgere ed interessare tutte le diverse cornici teoriche della psicologia ed il mondo psichiatrico, che dal DSM viene rappresentato, affinché si giunga ad una concettualizzazione condivisa delle sue origini e delle sue manifestazioni così da poterne migliorare il riconoscimento e la presa in carico da una parte e la modalità di intervento dall’altra.
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