Il Neurofeedback: cos’è, come funziona e a cosa serve
Per informazioni dott. Alessandro Zarfati
Il Neurofeedback è una tecnica di neuromodulazione che mediante la rilevazione dell’attività cerebrale consente il mantenimento di un buon equilibrio di funzionamento del Sistema Nervoso Centrale e l’incremento dello stato generale di benessere.
La sua efficacia è supportata da numerosi studi pubblicati su riviste scientifiche internazionali.
Grazie al Neurofeedback il paziente può apprendere come normalizzare la propria attività elettrica cerebrale e, così facendo, ottenere una diminuzione significativa della sintomatologia.
Il Neurofeedback si basa sulla registrazione elettroencefalografica (EEG) che rileva e misura le onde cerebrali grazie all’applicazione di alcuni sensori sulla cute. Il segnale viene inviato ad un software, che permette al clinico di valutare l’andamento della seduta in tempo reale. È un semplice monitoraggio, quindi non viene inviata alcuna corrente.
Nel momento in cui la persona raggiungerà lo stato psicofisiologico obiettivo del trattamento, questo verrà riconosciuto dal software, il quale fornirà uno stimolo di tipo visivo/uditivo in tempo reale.
Il feedback ci fornisce un’indicazione per riconoscere stati mentali al fine di mantenerli.
Potrebbe sembrare un gioco divertente, ma in realtà è un training che ha la finalità di normalizzare l’attività cerebrale. Come se fosse una vera e propria palestra per il cervello.
Per cosa è utile il Neurofeedback?
- Trattamento di differenti disturbi e patologie
- Miglioramento di memoria, concentrazione e rilassamento
- Incremento di performance e creatività
- Trattamento alternativo alla farmacoterapia
- Integrazione ad altre forme di terapia
- Supporto nei casi di farmacoresistenza
- Training per adulti e bambini
Il Neurofeedback viene sempre condotto da un professionista esperto nel metodo.
Il Neurofeedback come strumento facilitatore dell’autoconsapevolezza
Enrico Maria Valenti, Alessandro Zarfati, Margherita Onofri, Claudio Imperatori
“Non conosco le regole del cervello, per questo sono sempre pronta ad ascoltare ciò che ha da dirmi”
Sebern Fisher1
Introduzione al Neurofeedback
Negli ultimi anni sono incrementati notevolmente gli studi che hanno indagato l’utilità delle tecniche di neuromodulazione nella pratica clinica (Gevensleben et al. 2014).
A differenza delle tecniche di neuromodulazione “esogene”, come ad esempio la stimolazione magnetica transcranica, il Neurofeedback è uno strumento utilizzato per modulare l’attività elettrica corticale producendo dei cambiamenti neurali causati dall’attività stessa del paziente (Gevensleben et al. 2014).
Il Neurofeedback è una tecnica non invasiva, basata sul condizionamento operante, che nasce tra la fine del 1950 e gli inizi del 1960 grazie agli studi di Barry Sterman, Joe Kamiya e Anna Wise (Fisher 2014). La finalità dello strumento è quella di permettere al soggetto che lo sta utilizzando di modificare volontariamente la propria attività cerebrale, di incrementare l’autoregolazione e di acquisire maggiore controllo e consapevolezza sul proprio sistema nervoso e sulla propria mente (Hammond 2006; Yucha & Montgomery 2008). Ciò avviene grazie ad un’interfaccia cervello-computer, basata sulla registrazione dell’elettroencefalogramma (EEG) (Bartholdy et al. 2013), che invia un feedback di tipo visivo e/o uditivo in tempo reale (Weiskopf 2012), permettendo alla persona di regolare istante per istante la propria attività cerebrale (Bartholdy et al. 2013).
Ambiti applicativi
Sono molti gli studi che, sino ad oggi, hanno dimostrato l’utilità del Neurofeedback in diversi disturbi neuropsichiatrici e in diverse condizioni cliniche, come l’Autismo (Coben, Linden, & Myers 2010; Zivoder et al. 2015), il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (Arns et al. 2009), del Trauma dello Sviluppo (Fisher 2014), le Dipendenze da alcool e sostanze (Arani et al. 2010; Dehghani-Arani et al. 2013; Rostami e Dehghani-Arani 2015; Scott, Kaiser, Othmer, & Sideroff, 2005), il Disturbo Post-Traumatico da Stress (Gruzelier 2014), la Fatica Cronica (Hammond 2001), la Depressione (Hammond 2005), i Disturbi d’Ansia (Hammond 2005; Moore 2000), la Fibromialgia (Mueller, Donaldson, Nelson, & Layman 2001; Nelson et al. 2010), il Disturbo Ossessivo Compulsivo, i Disturbi del Sonno, la Sindrome di Tourette (Hammond 2006; Surmeli e Ertem 2011), l’Acufene (Gosepath, Nafe, Ziegler, & Mann 2001; Schenk et al. 2005; Weiler, Brill, & Tachiki 2001), il Morbo di Parkinson (Hammond 2006), la Displasia Cerebrale (Hammond 2006), l’Incontinenza (Hammond 2006).
Oltre ad essere utilizzato per il trattamento di queste patologie, il Neurofeedback viene implementato anche nel peak performance training per aumentare le prestazioni mnestiche e cognitive in popolazioni non cliniche, come nel caso di manager, atleti, musicisti e danzatori (Egner, Strawson, & Gruzelier 2002; Gruzelier 2014; Hanslmayr, Sauseng, Doppelmayr, Schabus, & Klimesch 2005; Vernon et al. 2003).
La capacità pratica di modificare direttamente l’attività EEG attraverso un feedback è stata dimostrata da diversi studi (Fox e Rudell 1968; Black 1973), tuttavia l’esatto meccanismo psicologico e neurobiologico sottostante non è ancora pienamente compreso (Raymond et al. 2005).
La principale ipotesi di funzionamento si rifà alla teoria delle informazioni, ed è facilmente comprensibile attraverso “l’esempio del tennista” (Othmer 2009): così come il cervello di un tennista si “appropria” di una racchetta, considerandola un’estensione del braccio, allo stesso modo il cervello fa proprio il circolo del feedback, che viene considerato come un elemento della propria sfera di influenza. Il segnale del feedback, dunque, verrà processato assieme a tutte le informazioni provenienti dall’ambiente, e col tempo, al Sistema Nervoso Centrale diverrà evidente la correlazione tra alcune caratteristiche del flusso di informazioni proveniente dall’ambiente e la propria attività interna (Othmer 2009).
Indicazioni sull’ utilizzo
È di fondamentale importanza effettuare, per la buona riuscita del trattamento con il Neurofeedback, una valutazione accurata in fase di assessment (biblio). Questa pratica è altamente specializzata: non esiste, infatti, un protocollo generalizzabile per ogni disturbo/esigenza. Sarà necessario, dunque, inquadrare il funzionamento globale del cliente ed intervenire in maniera mirata. Questo è possibile attraverso un uso combinato dell’assessment clinico ed elettroencefalografico, attraverso il quale è possibile misurare le configurazioni elettriche della superficie dello scalpo, che riflettono l’attività corticale sottostante (Duffy et al. 1994). Successivamente a queste valutazioni, la strumentazione può essere settata in linea con un protocollo specifico per il bisogno del cliente. Ultimate le preparazioni, può essere somministrato il trattamento.
L’assessment è necessario non solo per scegliere la tipologia di training, ma anche per capire se sia sufficiente il solo Neurofeedback per arrivare ad una riduzione della sintomatologia disfunzionale (Gruzelier 2014). È da sottolineare che nella maggior parte dei casi il ruolo del Neurofeedback è quello di “facilitare” la psicoterapia. In queste situazioni tale strumento viene utilizzato come un supporto, per contrastare o affievolire parte della sintomatologia disfunzionale e permettere un miglior risultato clinico. È importante ricordare, inoltre, che, con il supporto del Neurofeedback, una psicoterapia può avere dei risultati esponenzialmente migliori ed in tempi nettamente più brevi rispetto alla sua pratica tradizionale (Fisher 2014).
I Training
I Training di Neurofeedback vengono implementati per contrastare una neurofisiologia patologica agendo selettivamente sull’attività cerebrale, andando così a potenziare o ad inibire le onde cerebrali relative al disturbo oggetto del trattamento (Ardila, Rosselli, & Strumwasser 1991; Dackis & O’Brien 2001; Kaufman, Levin, Christensen, & Renshaw 1996; Levin & Kaufman 1995; Volkow et al. 2003).
Lo spettro elettroencefalografico sul quale vengono tipicamente implementati i trattamenti va dalle onde Theta (4.5-7.5 Hz) alle onde Beta (15-21 Hz) (Alper, Prichep, Kowalik, Rosenthal, & John 1998; Ardila et al. 1991; Marchesi et al. 1992; O’Mahony & Doherty 1996; Sokhadze et al. 2008), in base al training che si decide di utilizzare.
Tra i differenti tipi di training di Neurofeedback, l’Alpha/Theta training è stato uno dei più indagati negli ultimi trent’anni (Egner et al. 2002). L’obiettivo di questo training è quello di innalzare il livello Theta (4.5-7.5 Hz) su Alpha (8-12.5 Hz), mantenendo gli occhi chiusi e senza cadere nel sonno, cercando di raggiungere uno stato di profondo rilassamento, simil-meditativo, quasi ipnagogico (Egner et al. 2002).
In questo training ai partecipanti vengono presentati due stimoli piacevoli, solitamente il suono di un ruscello e il suono delle onde dell’oceano. Tali suoni rappresenteranno i feedback delle onde elettroencefalografiche bersaglio, che in questo caso saranno Alpha e Theta. In uno stato di rilassamento superficiale, il paziente sentirà il feedback relativo alle onde Alpha (il ruscello); quando il rilassamento sarà più profondo, verrà emesso, invece, il feedback delle onde Theta (l’oceano). L’obiettivo di questo training, infatti, è quello di incrementare il livello di Theta al fine di superare il livello di Alpha fino a raggiungere il “crossover”, definito come “il punto in cui l’ampiezza di Alpha scende al di sotto del livello di Theta” (Dehghani-Arani et al. 2013, p. 136).
Ogni seduta di Alpha/Theta inizia con il soggetto seduto su una sedia confortevole e, come detto in precedenza, con gli occhi chiusi. Dopo un’attenta preparazione della pelle, in accordo con il protocollo di Egner et al. (2002) l’elettrodo positivo viene posto su Pz e viene riferito alle mastoidi. Prima del training può essere utile far ascoltare uno script di immaginazione guidata, al fine di elicitare il rilassamento.
Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia di questo training nel trattare diverse condizioni psichiatriche. Inizialmente pensato come terapia aggiuntiva nel trattamento della dipendenza da sostanze, ha trovato notevole applicazione nel trattamento della dipendenza da alcool (Trudeau 2005).
Peniston & Kulkosky (1989), nel primo studio randomizzato controllato, osservarono che, rispetto ad un gruppo di alcolisti in trattamento con il protocollo standard, i pazienti che avevano ricevuto 15 sedute di Alpha/Theta training mostravano un miglioramento significativo della traccia EEG (in particolare nello spettro di frequenza delle onde Alpha), così come un miglioramento della sintomatologia depressiva auto-riportata (Peniston & Kulkosky 1989) e minor tassi di ricaduta nel follow-up. L’utilità dell’Alpha/Theta training nella riduzione della sintomatologia fu confermata anche in pazienti alcolisti depressi (Saxby and Peniston 1995) e sui veterani con Disturbo Post-Traumatico da Stress (Peniston & Kulkosky 1991).
L’efficacia dell’Alpha/Theta training è ampiamente investigata anche in campioni non- clinici. Per esempio, diversi studi hanno dimostrato l’associazione tra questo training e l’incremento delle prestazioni musicali ed artistiche (Gruzelier 2009, 2014). È stato recentemente osservato (Imperatori et al. 2016), inoltre, che 10 sedute da 27 minuti di Alpha/Theta training conducono ad un decremento significativo della gravità food craving e ad una modificazione significativa dei parametri elettroencefalografici in diverse regioni cerebrali implicate nel processamento del cibo e nel controllo del food craving, come l’insula.
Nonostante l’efficacia di questo training, i suoi meccanismi psicologici e neurobiologici non sono stati ancora chiariti (Raymond et al. 2005). È stato proposto (Boynton 2001; Dehghani-Arani et al. 2013; Gruzelier 2014; Imperatori et al. 2016) che il profondo stato di rilassamento indotto dal training incrementi il benessere, la capacità di tollerare in maniera più adeguata lo stress e la consapevolezza emotiva. Dal punto di vista fisiologico, invece, è stato suggerito che l’Alpha/Theta Neurofeedback conduca ad un aumento della connettività funzionale dei network corticali, in particolare tra le aree anteriori e posteriori (Gruzelier 2009).
Tutte queste caratteristiche sembrano riconducibili al costrutto della mentalizzazione, definibile come la complessa capacità di comprendere gli stati mentali (pensieri, emozioni, desideri ecc.) propri ed altrui al fine di gestire adeguatamente i compiti di vita e i rapporti interpersonali (Fonagy and Bateman 2008; Fonagy et al. 2002; Semerari et al. 2014).
L’Alpha/Theta training, perciò, può esercitare il suo effetto attraverso un miglioramento delle capacità di mentalizzazione.
Un recente studio condotto su un campione non-clinico sembra aver raccolto le prime conferme a sostegno di quest’ipotesi (Imperatori et al. 2017). I ricercatori hanno documentato che, rispetto ad un gruppo di controllo, i partecipanti che si sottoponevano a 10 sedute di Alpha/Theta Neurofeedback riportavano un incremento in un self report che misurava la mentalizzazione, in particolare nelle dimensioni della consapevolezza emotiva e della regolazione delle emozioni. Gli autori hanno riportato, inoltre, un’associazione tra l’Alpha/Theta training e l’incremento della connettività in alcune aree centrali del Default Mode Network (ad esempio la corteccia cingolata posteriore), che rappresenta una delle reti neurali maggiormente associate con le capacità di mentalizzazione (Andrews-Hanna 2012).
Qualora questi risultati fossero confermati anche su popolazioni cliniche, l’Alpha/Theta Neurofeedback potrebbe essere esteso anche al trattamento di disturbi psicopatologici caratterizzati da gravi deficit di mentalizzazione, come per esempio i disturbi dello spettro dissociativo traumatico (Farina & Liotti 2011).
In questo campo Sebern Fisher, una delle massime esperte nel trattamento di pazienti con Trauma dello Sviluppo, ha riportato risultati promettenti relativi all’utilizzo del Neurofeedback in psicoterapia (Fisher 2014).
Secondo la Fisher la normalizzazione dei sintomi e l’incremento della mentalizzazione riscontrabile nei pazienti sottoposti a Neurofeedback ha una causa specifica: la riattivazione, in seguito al training, di network cerebrali precedentemente ipoattivi (Fisher 2014). In questo processo sono coinvolti i circuiti implicati nello scambio di informazioni tra i sistemi deputati all’apprendimento emotivo e quelli deputati all’autoregolazione, come l’amigdala e la corteccia prefrontale (Lanius 2010). All’attivazione di questi circuiti segue una normalizzazione del livello di arousal, solitamente iperattivo in soggetti con Trauma dello Sviluppo (Fisher 2014). A seguito di ciò i pazienti spesso riportano una migliore capacità nel regolare autonomamente le proprie emozioni. Il cervello, inoltre, grazie alla propria plasticità, manterrà nel tempo gli apprendimenti relativi al funzionamento adattivo acquisiti, e ciò fornirà le basi per il raggiungimento di nuovi stati positivi (Fisher 2014).
Tale processo di regolazione dell’arousal fornirà le basi per promuovere la costruzione del senso del sé in pazienti con Trauma dello Sviluppo durante la psicoterapia (Fisher 2014). Il clinico, attraverso un continuo utilizzo del Neurofeedback e delle pratiche della terapia tradizionale, avrà la possibilità di supportare la persona nell’acquisizione di maggiore controllo e consapevolezza sul proprio sistema nervoso e, come esito finale, sulla propria mente (Yucha & Montgomery 2008).
Gli aspetti descritti dalla Fisher possono aprire una riflessione sul neurofeedback come strumento terapeutico che presenta sia aspetti di tipo bottom-up che top-down. Gli aspetti di normalizzazione dell’arousal e di autoregolazione emotiva relativi al modello utilizzato dalla Fisher potrebbero, infatti, essere considerati come processi Bottom Up. Attraverso l’apprendimento di queste nuove capacità, e grazie alla plasticità del cervello, il paziente riuscirà ad influenzare egli stesso i propri network cerebrali, consolidando una circolarità nel cambiamento volta alla promozione di dinamiche sempre più adattive, relative al proprio funzionamento globale (Fisher 2014).
Il caso clinico: un esempio di Alpha/Theta Neurofeedback
A. è un paziente di 32 anni già reduce da un percorso di psicoterapia (finalizzata al trattamento del suo Disturbo Ossessivo-Compulsivo e dei suoi tratti impulsivi) rispetto al quale aveva riscontrato notevoli benefici. Decide di intraprendere il trattamento con il Neurofeedback al fine di migliorare il proprio controllo sull’impulsività. Il paziente viene dunque sottoposto a 10 sedute di Alpha/Theta Training.
Alla fine del training viene riscontrata una riduzione significativa nei punteggi del Behavioral Inhibition System (BIS), confermata da una breve descrizione di A. dei propri vissuti recenti: “Mi sento più calmo, più lucido: è come se dopo questo training di Neurofeedback mi avesse attraversato un senso di tranquillità. Non so se la cosa sia collegata, ma i miei amici dicono di vedermi diverso, affermano che io sia meno agitato”.
La registrazione elettroencefalografica riporta una capacità notevole di A. nel mantenere lo stato meditativo relativo al crossover di Theta su Alpha, anche dopo aver vissuto eventi attivanti al di fuori del setting (come la presentazione di un importante progetto al lavoro). Un’altra componente degna di nota è l’entusiasmo che il paziente dimostra nei confronti del trattamento e la riduzione, seduta dopo seduta, dei sintomi di impulsività. Il paziente in una delle ultime sedute di terapia afferma: “Queste sensazioni nuove che sto provando mi permettono di vivere le giornate con un altro spirito. Ho meno ansia e sono meno esigente rispetto a me stesso. Mi sono reso conto che cercavo di controllare tutto e se questo non accadeva mi sentivo frustrato. Oggi questa frustrazione la vivo in maniera differente: so che prima o poi potrei scontrarmici, ma so anche che se dovesse succedere non sarebbe nulla di strano. Non si può avere tutto sotto controllo e sperare che ogni cosa vada secondo il proprio volere”.
Svolgendo una breve analisi del caso sembrerebbe che il paziente sia riuscito a raggiungere una migliore regolazione del proprio livello di arousal riducendo notevolmente le condotte impulsive per le quali aveva iniziato la terapia con il Neurofeedback. Egli, inoltre, è riuscito a raggiungere più consapevolezza di sé e del proprio funzionamento, riportando anche di aver avuto successo nell’applicare queste nuove abilità alla vita di tutti i giorni, anche nelle situazioni precedentemente attivanti e valutate come minacciose.
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